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Il mosaico che rappresenta Il funerale della volpe si trova sotto il terzo arco della basilica, alla destra di chi entra (a).
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In esso sono raffigurati due galli che portano una volpe morta, legata ed appesa ad un bastoncino. Probabilmente l'immagine risale al 1140. Vi possono essere due chiavi di lettura per comprenderla del tutto. La prima è più semplice ed immediata: la vigilanza sconfigge l’astuzia, la lega e ne ostenta le morte spoglie. L’altra versione, invece, è leggermente più complessa: la perfida furbizia sarà vittoriosa, perché i vanitosi galli si accingono a portare nel loro pollaio, quale trofeo, la volpe morta solo in apparenza. L'animale è da sempre simbolo di frode, di ipocrisia, d'eresia. Molto spesso si finge morta solo per attirare gli uccelli e mangiarli. Sarà pronta alla caccia al momento opportuno: l’errore compiuto dai pennuti decreterà la fine loro e dei loro simili. I moniti scaturenti da questa immagine tuonano: mai fidarsi del male, mai vantarsi di averlo sconfitto senza aver prima duramente lottato. “…Così anche il demonio e le sue opere sono piene di perfidia; chi vuole partecipare delle sue carni, muore. Le sue carni sono queste: lussuria, avarizia, dissolutezza, omicidio. Per questo anche Erode è stato paragonato alla volpe […] Bene dunque ha detto il Fisiologo della volpe (1). La volpe è anche da sempre simbolo del Diavolo per via della sua Astuzia, testimoniata anche dalle antiche favole di Esopo e di Fedro e dagli scritti di Raimondo Lullo.
“…Signori, Renardo è morto, egli non è più […]. Le
galline, le pollastre, le anitre, le oche, gli faranno il letto,
lo assisteranno, gli danzeranno intorno, ma Renardo non
potrà toccarle, e sarà condannato a pascersi solo della loro vista.
Questa è la più grande penitenza che la volontà divina possa assegnargli!
- Amen- risponde il coro…” (2)
A sentire Ferrante il ronzino, sembra che la volpe Renardo sia morta, finalmente. Tutte le sue diaboliche malefatte sono finite: le sue vittime potenziali - oche, galli, galline- possono tirare un sospiro di sollievo, perdonarlo ed accompagnarlo verso l’ultimo viaggio. Può iniziare la mesta Procession Renart che si concluderà in maniera tragicomica: la volpe è viva e vegeta e i suonatori verranno suonati...
Il Roman de Renart è un ciclo poetico – narrativo francese la cui stesura a più mani risale ai secoli XII e XIII. Come per molte figurazioni artistiche aventi come soggetto la volpe ed altri animali, il Roman è la diretta conseguenza della tradizione medievale in latino, popolare ed erudita, di cui non abbiamo più documentazione; i protagonisti dei racconti contenuti in esso, sono animali che sembrano non avere nulla in comune con quelli delle consuete favole moraleggianti del medioevo. Lo scopo principale della volpe Renart e del suo compare lupo Ysengrin, infatti, non è quello di insegnare o di ammonire: essi vogliono solo divertire.
Il “Funerale della volpe” è un soggetto che viene spesso raffigurato, del tutto o in parte, in bassorilievi e mosaici adornanti chiese italiane ed europee.(3) In alcuni di essi, molti studiosi intravedono una raffigurazione della Procession Renart.
In Italia, una tra le più antiche di queste testimonianze iconografiche, è il fregio scolpito che arricchisce il portale della Pescheria della Cattedrale di Modena, risalente ai primi decenni del XII secolo: due galli portano in modo marziale la volpe verso la sepoltura (c). Poco distante dalla prima scena, alla sommità destra del portale, il finale del “racconto illustrato”: uno dei numerosi becchini sembra essere caduto tra le fauci di Renart o in quelle di un lupo (d).
Cronologicamente anteriore al fregio di Modena, sarebbe stato il mosaico pavimentale della basilica di San Marco a Venezia (e) che, interamente rifatto da Pietro Parise ai primi del seicento, risaliva originariamente alla seconda metà dell’undicesimo secolo. In esso si vedono due tronfi galletti che sembrano apprestarsi a seppellire una volpe, forse il furbo Renardo, Renart o Renard che dir si voglia. rancesco Sansovino ebbe modo di ammirare l’originale, antico mosaico di San Marco. Nel suo Venetia citta [sic ] nobilissima…, così affermava nel descriverlo: “…i due galli […], si dice che s’interpretano per Carlo Ottavo & Lodovico XII Re di Francia che portano fuori dello stato di Milano Lodovico Sforza astutissimo Principe de suoi tempi…”(4). Peccato che il Sansovino non tenga presente che i tre personaggi citati hanno compiuto le loro gesta secoli dopo l’esecuzione del pavimento musivo.
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Lo stesso rito sembrano voler celebrare i galli quasi coevi a quelli di Modena, scolpiti sul portale d’ingresso alla cripta di San Zeno di Verona (f). La basilica veronese contiene anche altre rappresentazioni posteriori a quella che sembra essere la Procession Renart, risalenti al XIII secolo.
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Un altro esempio della mesta rappresentazione del “Funerale”, datante l’anno 1213, è tuttora visibile nella Basilica di San Giovanni Evangelista a Ravenna. Si tratta di un mosaico: la volpe è appesa a testa in giù, mentre i due galli si fissano l’un l’altro, come quelli di Murano. A completare il corteo funebre, un altro pannello musivo nel quale è rappresentata un’anitra con incensiere e un colombo (?) con la palma (g - h).
Prima di concludere questa piccola digressione, mi sembra utile trattare di un altro mosaico, risalente al secolo XII e andato distrutto nel 1776, che ornava la chiesa di Santa Maria Maggiore di Vercelli. In esso era rappresentata per intero la Procession Renart.
Purtroppo, come detto, il mosaico non esiste più e nessuna riproduzione grafica fedele lo ha tramandato fino ai nostri giorni. Esistono, però, alcune testimonianze verbali che lo descrivono dettagliatamente, permettendomi di azzardarne una ricostruzione grafica molto approssimativa, come peraltro già fece nel 1925 Francesco Novati: la ricostruzione che disegnò un “…valente amico…” sotto la sua supervisione, sembra rifarsi principalmente ad una descrizione tardo settecentesca del Ranza che Novati riporta fedelmente, tralasciando però di farne raffigurare pittoricamente alcuni passi.
Leggiamo la trascrizione del Novati : “…il pavimento mosaico…rappresentava in gran circolo una farsa la più gioviale del mondo…La farsa conteneva due atti, espressi nei due emisferi del circolo. Nel primo atto vedevasi una lunga processione di animali bipedi domestici, cioè galli, galline, anatre, oche [a parte galli e galline, nella ricostruzione del Novati non sono visibili altri pennuti], insomma d’ogni ceto pollaiolo rustico. La pompa era mortuaria: ma cantava allegramente un ringraziamento de’ più solenni, con le bocche aperte a quanto n’aveva e coll’ale svolazzanti per effetto di giubilo…I buoni polli portavano a sotterrare una volpe che vedevasi nel feretro lunga e distesa…Parea veramente morta; ma la furbaccia fingeva, aspettando il punto fisso con un volpone suo compare, per balzar giù dal feretro e far un vespero siciliano dei polli. In coda alla processione era un somarello magro e sparuto che stava in guardia per qualche sinistro. Questo era il primo atto della farsa. Nel principio del secondo avvicinavasi quatto quatto il volpone compare alla processione dal suo finimento. Ma accortosene il somarello, gridava a quanto n’aveva in gola e tirava de’ calci al vento e alzava un polverone, a fine, com’io penso, di spaventare il volpone e avvertirne insieme il minuto pollame.[…] Nel centro della farsa era scritto in un cartello il suo titolo, così: UT CIEAT RISUM PER SINGULA VISUM…”. Il Novati cita anche un’altra descrizione verbale del complesso mosaico, effettuata nel XVII secolo dal Cusano, di cui sembra tenere conto in parte nella sua ricostruzione grafica: “…Una vaga processione di galline, che a due a due funeralmente accompagnano col portarvi la volpe, fintamente morta, depositata in una bara; precedendovi un gallo che porta la croce, l’altro l’incensiere, l’altro l’aspersorio e altri simili ordigni, indi seguendovi un miscuglio di galline, che formano una moltitudine di cantori, e havendovi un libro di musicali note, vi celebrano l’ultime memorie della giacente volpe: vedendovi inoltre che, fuori d’ogni aspettatione e dubio, si risveglia la volpe, uscendo d’improviso dalla bara, assalendo le dette galline, ne fa ogni stratio, e crudel scempio e nel mezzo del circolo si vedevano già, e si leggevano in un ristretto tali parole: ad ridendum…”(5).
La mia ricostruzione, completamente congetturale, tiene conto della volpe che si avvicina furtivamente al corteo (appena accennata nel disegno del Novati) e delle “galline cantanti” completamente ignorate dallo studioso. Come si sarà notato, il Cusano riassume in un “…ristretto…” di due parole, ad ridendum, l’iscrizione completa citata dal Ranza, che esorta lo spettatore al riso.
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Concludendo la nostra riflessione sul mosaico muranese: a poche decine di metri di distanza, una di fronte all’altra, nello stesso edificio (la chiesa dei SS. Maria e Donato), esistono due rappresentazioni della volpe: una sullo stemma cittadino, posto accanto al bottazzo di Sant'Albano, l’altra sul pavimento musivo. Ritengo poco plausibile che esse abbiano un simbolismo diverso l’una dall’altra.
E una delle due, quella appesa a testa in giù, sicuramente ha il significato di Astuzia...
Testo ed illustrazioni di Marco Toso Borella
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(1) Il Fisiologo, edizione a cura di Francesco Zambon, Milano, Adelphi edizioni s.p.a., 1975, p. 54. Il Phisiologus è un prezioso repertorio animalistico che tratta dei simboli e del misticismo attribuibili all’universo faunistico. Esso fu composto in Alessandria d’Egitto da un anonimo di origine ebraica convertito al cristianesimo. Il testo fu redatto in greco tra il II e il III secolo e venne tradotto in latino ed in lingue orientali, vista la sua fortuna. Il Phisiologus attingeda narrazioni tradizionali e dalle Sacre Scritture e la stesura originale fu successivamente ampliata.
2) Il romanzo della volpe, traduzione del Roman de Renard di Salvatore Battaglia, Sellerio editore, Palermo 1980, (La memoria, 7) p. 202.
(3) Su questo argomento, cfr. Anna Lomazzi, Rainaldo e Lesengrino, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1972, (Biblioteca dell”Archivum Romanicum”, Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia. vol.116); Francesco Novati, Freschi e minii del Dugento, Milano, Casa Editrice L. F. Cogliati, 1925; Paolo Lino Zovatto, I funerali della volpe nella cultura figurativa dei secoli XI e XII, in: La letteratura popolare nella Valle Padana. III Convegno di studi sul folklore Padano, a cura della Direzione Provinciale dell’E.N.A.L. di Modena, Firenze, Leo S. Olschki, 1972, pp. 555 - 563; Raffaella Olivieri Farioli, I mosaici pavimentali della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Ravenna, in “Felix Ravenna”, Rivista di Antichità ravennati e bizantine dell’Università di Bologna, S. IV, Fasc. I (CI), (1970), pp. 169 - 222.
(4) Francesco Sansovino, Venetia citta nobilissima et singolare…, Venezia, appresso Iacomo Sansovino, 1581 (ristampa anastatica, Bergamo, Leading Edizioni, Collana “Il genio vagante”, 2002, lib. II, c.34 v.).
(5)Francesco Novati, Freschi e minii del dugento, op. cit., pp. 319 e segg. La descrizione trascritta dal Novati e da me ulteriormente ripetuta appartiene al Ranza ed è tratta da un suo lavoro intitolato: Della antichità della Chiesa Maggiore di santa Maria di Vercelli, Dissertazione sopra il mosaico di una Monomachia, Torino, Dalla Stamparia [sic] Reale, 1784. Come si vede, la descrizione del Ranza è posteriore di quasi dieci anni alla distruzione del mosaico.